...
Matteo
Soltanto,
scenografia
per:
IL CAPPOTTO
di
Vittorio Franceschi
liberamente
ispirato
all'omonimo racconto di Gogol'
con Vittorio
Franceschi,
Umberto
Bortolani, Marina Pitta,
Andrea
Lupo, Federica Fabiani, Matteo
Alì,
Giuliano
Brunazzi, Alessio Genchi, Stefania
Medri,
Valentina
Grasso (ediz.2013)
Regia -
Alessandro D'Alatri
Scenografia
- Matteo Soltanto
Costumi
- Elena Dal Pozzo
Luci -
Paolo Mazzi
Musiche
- Germano Mazzocchetti
Suono -
Giampiero Berti
Regista
assistente - Gabriele Tesauri
Assistente
alla
regia - Elisa Cutrupi
Direttore
di
scena - Davide Capponcelli
Assistente
alla
scenografia - Consuelo Cabassi
Trattamento
pittorico
- Matteo Soltanto
Assistente
ai
costumi - Anna Vecchi
Realizzazione
scena
- Scena Laboratorio di Leonardo
Scarpa
Prod.
Emilia Romagna Teatro, Arena del Sole.
Prima
nazionale: 5 novembre 2013
(Arena del
Sole, Bologna)
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Matteo
Soltanto,
set design
for:
THE OVERCOAT
by
Vittorio Franceschi
loosely
based on the homonymous story by
Gogol'
with Vittorio
Franceschi,
Umberto
Bortolani, Marina Pitta,
Andrea
Lupo, Federica Fabiani, Matteo Alì,
Giuliano
Brunazzi, Alessio Genchi, Stefania
Medri,
Valentina
Grasso (2013 edition)
Direction
- Alessandro D'Alatri
Set
design - Matteo Soltanto
Costumes
- Elena Dal Pozzo
Light
design - Paolo Mazzi
Music -
Germano Mazzocchetti
Sound -
Giampiero Berti
Assistant
director
- Gabriele Tesauri
Assistant
director
- Elisa Cutrupi
Stage
director - Davide Capponcelli
Set
assistant - Consuelo Cabassi
Pictorial
realization
- Matteo Soltanto
Costumes
assistant
- Anna Vecchi
Set
construction - Leonardo Scarpa
(Scena Laboratorio)
Production:
Emilia
Romagna Teatro, Arena del Sole.
On stage
from: November 5th, 2013
(Arena del
Sole Theater, Bologna, Italy)
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STAGIONE 2014/15 |
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SEASON 2014/15 |
Novembre
2014
12:
Castelfranco Emilia (Mo), Teatro Dadà
dal 13 al
16: Cesena, Teatro Bonci
19: Boretto
(Re)
dal 20 al
23: Lugo (Ra)
24: Russi
(Ra)
25: Pavullo
(Mo), Teatro Mac Mazzieri
Dicembre
2014
1:
Mezzolombardo (Tn)
2: Artegna
(Ud)
3:
Codroipo (Ud)
5:
Foligno, Politeama Clarici
6: Magione
(Pg), Teatro Mengoni
7: Narni
(Tr), Teatro Manini
9 e 10:
Piacenza, Teatro Municipale
dall'11 al
21 (pausa il 15): Milano, Teatro Carcano
Gennaio
2015
dal 14 al
18: Brescia, Teatro Sociale
dal 22 al
25: Prato, Teatro Metastasio
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November 2014
12:
Castelfranco Emilia (Mo), Teatro Dadà
dal 13 al
16: Cesena, Teatro Bonci
19: Boretto
(Re)
dal 20 al
23: Lugo (Ra)
24: Russi
(Ra)
25: Pavullo
(Mo), Teatro Mac Mazzieri
December
2014
1:
Mezzolombardo (Tn)
2: Artegna
(Ud)
3:
Codroipo (Ud)
5:
Foligno, Politeama Clarici
6: Magione
(Pg), Teatro Mengoni
7: Narni
(Tr), Teatro Manini
9 e 10:
Piacenza, Teatro Municipale
dall'11 al
21 (pausa il 15): Milano, Teatro Carcano
January
2015
dal 14 al
18: Brescia, Teatro Sociale
dal 22 al
25: Prato, Teatro Metastasio
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STAGIONE
2013/2014 |
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SEASON
2013/2014
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Novembre
2013: Prima Nazionale: 5
novembre: Bologna, Arena del Sole
- 6, 7, 8, 9, 10: Bologna, Arena
del Sole - 12, 13: Budrio (Bo),
Teatro Consorziale - 14, 15: Correggio
(Re), Teatro Asioli - 19, 20, 21,
22, 23, 24: Genova, Teatro della
Corte - Dicembre 2013 - 1: Rimini,
Teatro Novelli - 3, 4, 5, 6, 7, 8: Napoli,
Teatro Mercadante |
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November
2013: Premiere:
November 5th: Bologna, Arena del
Sole - 6, 7, 8, 9, 10: Bologna,
Arena del Sole - 12, 13: Budrio
(Bo), Teatro Consorziale - 14, 15: Correggio
(Re), Teatro Asioli - 19, 20, 21,
22, 23, 24: Genova, Teatro della
Corte - December 2013 - 1: Rimini,
Teatro Novelli - 3, 4, 5, 6, 7, 8: Napoli,
Teatro Mercadante |
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Uno dei
racconti più famosi di tutta la
letteratura mondiale rivive sulla scena
grazie all’autore e attore Vittorio
Franceschi e ad Alessandro D’Alatri,
regista diviso tra cinema, teatro e
pubblicità, che torna a collaborare con
l’Arena del Sole e con Franceschi dopo
il successo de "Il sorriso di Daphne".
Il cappotto racconta la storia di un
innocente, o per meglio dire di un uomo
semplice colpito da uno speciale
accanimento del destino. E' la storia
della maggioranza degli esseri umani,
dei “copisti della vita” i quali mandano
avanti il mondo pur subendone le
violenze e gli insulti, e ripetendone
all’infinito le parole e gli usi, i
sentimenti e i desideri, i sogni e i
naufragi. |
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Il
cappotto | The overcoat | Set design
and pictures: Matteo Soltanto
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IL CAPPOTTO di Vittorio Franceschi
Il testo
si rifà a uno dei racconti più famosi di
tutta la letteratura mondiale: Il
cappotto di Nikolaj Vasil’evic Gogol’.
Molti attori e registi si sono cimentati
con questa opera e con il suo eroe,
Akàkij Akàkievic, attraverso adattamenti
vari o semplici letture.
Ai miei
occhi è sempre apparsa come la storia di
un innocente. Ma forse sarebbe meglio
dire di un semplice. Non di uno sciocco,
non di un essere colpito da speciale
accanimento del destino. É la storia,
credo, della maggioranza degli esseri
umani, dei “copisti della vita” i quali
mandano avanti il mondo pur subendone le
violenze e gli insulti, e ripetendone
all’infinito le parole e gli usi, i
sentimenti e i desideri, i sogni e i
naufragi. Credo che un grave errore
sarebbe stato quello di trasferire la
storia di Akàkij nei giorni nostri, come
spesso si usa fare con i classici. Non
ce n’è bisogno. Siamo tutti vecchi
Pietroburghesi. Di quella città
conosciamo a fondo gli angoli delle
strade, i volti dei passanti, le voci, i
rumori e gli odori, perché sono gli
stessi di Milano e di Torino, di Bologna
e di Genova, di Roma e di Napoli e di
tutte le città italiane di oggi e di
sempre. La marmaglia rapace dei
presuntuosi, dei vili, delle mezze
calzette, dei barattieri e dei
prepotenti cammina e traffica al nostro
fianco, come camminava e trafficava al
fianco di Akàkij Akàkievic ai tempi
dello Zar Nicola I.
Akàkij non
si aspetta nulla, non reclama nulla più
delle minuscole briciole di pane e di
gioia di cui si ciba e vive. Gioia per
lui è poter copiare in bella calligrafia
quel che hanno scritto gli altri. E’ la
sua missione, e si ha l’impressione che
dalla sua penna il mondo si sforzi di
uscire migliore. Ma l’unica volta che la
vita lo costringe a una grande prova, ne
è schiacciato fino a morirne. Non era in
grado di reggerne il peso, non era
preparato. Infatti, di quel meraviglioso
- e minaccioso - cappotto nuovo lui
avrebbe fatto volentieri a meno. Gli
bastava rammendare quello vecchio. Ma le
convenzioni sociali e l’arbitrio degli
arroganti, più che il freddo
dell’inverno, lo hanno sovrastato e
vinto. In una società che rottama gli
uomini insieme alle cose, il suo vecchio
cappotto, che “fra toppe e rammendi era
tutta una piaga” come la casacca di
Geppetto, è quello che prende luce alla
fine della storia e quasi sventola come
una bandiera.
Di questo
racconto ho rispettato la trama
eliminando solo l’appendice (Akàkij che
riappare come fantasma) perché in teatro
i doppi finali non funzionano e perché
la vera storia, ai miei occhi, si
conclude nel momento della sua morte.
Dei dialoghi, però, sono responsabile
io, essendo essi assai scarsi nel
racconto originale, e poco utilizzabili.
Ho cercato di dare verità a una vicenda
ambientata in tempi lontani ma
attualissima, adoperando la lingua di
oggigiorno e cercando di difenderla da
quelle tentazioni gergali che avrebbero
fatto a pugni con l’ambientazione
d’epoca. So di essere stato, in alcuni
passaggi, “traditore”, com’è quasi
d’obbligo quando si lavora su opere o
materiali altrui. Ma non nelle linee
principali e sempre con il rispetto
dovuto a un gigante della letteratura e
del teatro la cui morte, nella sua
desolata solitudine, sembra ispirarsi
proprio a quella del minuscolo Akàkij.
Ho cercato, in definitiva, di essere
onesto con Gogol’ e il più possibile
fedele alla mia personale e ormai
lunghissima avventura nel teatro, senza
dimenticare che il pubblico qualche
volta vorrebbe anche divertirsi,
possibilmente in modo garbato, senza le
trivialità che deve sopportare ogni
sera, puntuali come le tasse, in teatro,
alla TV e al cinema, e delle quali
farebbe volentieri a meno. Vittorio
Franceschi
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Matteo
Soltanto - Il cappotto / The
overcoat - dettaglio della
scenografia / set detail
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NOTE DI REGIA di
Alessandro D'Alatri
.
Dostoevskij
affermò che la nuova generazione di
intellettuali russi era «tutta uscita da Il
cappotto di Gogol’». Una citazione che aiuta
a comprendere il valore di questo capolavoro
della letteratura mondiale. Con questa
emozione ho abbracciato il progetto. Ma non
è l’unica. Lavorare con un attore e autore
dalle qualità di Vittorio Franceschi è per
me, oltre che piacevole, sempre stimolante.
Aggiungo l’affetto per una realtà come Nuova
Scena e l’Arena del Sole che sono stati
padrini del mio debutto nella regia teatrale
(Il sorriso di Daphne, di e con Vittorio
Franceschi).
.
Gogol’
scrisse il racconto. Franceschi lo ha
portato in teatro con un adattamento che mi
ha subito affascinato sia per la fedeltà
alla struttura narrativa che per la
straordinaria effervescenza della
trasposizione. Nel racconto non ci sono
molti dialoghi e la potenza di questo
adattamento sta proprio nella vitalità
realistica e poetica che Vittorio ha saputo
restituire alla parola viva dei personaggi.
In una parola: il teatro. Ma il matrimonio
straordinario tra questi due autori l’ho
trovato nel rispetto della rutilante e
beffarda ironia gogoliana nella
rappresentazione del ridicolo quotidiano.
Gogol’, e Franceschi con lui, riescono a
farci ridere nella drammaticità della
rappresentazione del reale.
.
Partendo
da queste considerazioni ho affrontato la
regia cercando di dilatare i confini del
reale, proprietà esclusiva del teatro,
restituendo una continuità al racconto come
se non dovesse esistere mai una
interruzione. Se fosse un film sarebbe un
unico piano sequenza che seguendo il candore
di un umile personaggio ci accompagna tra le
pieghe dei vizi e della corruzione della
condizione umana. Un viaggio che, nonostante
la distanza storica, ci fa sentire tutta la
contemporaneità dell’opera.
L’interpretazione di un eccellente cast di
attori, la versatilità delle scene, la magia
delle luci, dei costumi e delle musiche
hanno reso possibile questa avventura.
Ringrazio di cuore tutti per avermi dato
questa meravigliosa opportunità. Alessandro
D'Alatri |
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CORRIERE
DELLA SERA, recensione di Massimo Marino
(10 novembre 2013)
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Matteo
Soltanto - Il cappotto / The
overcoat - dettaglio della
scenografia / set detail
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IL
MATTINO, recensione di Enrico Fiore (6
dicembre 2013)
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IL
RESTO DEL CARLINO, presentazione di
Benedetta Cucci (31 ottobre 2013)
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Matteo
Soltanto - Il cappotto / The
overcoat - dettaglio della
scenografia / set detail
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IL
SECOLO XIX, recensione di Margherita
Rubino (21 novembre 2013)
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IL
CAPPOTTO - di Grazia
Verasani
Parlerò dello spettacolo che ho
visto ieri sera all'Arena del Sole, e cioè
Il Cappotto di Gogol', adattato da
Vittorio Franceschi e da lui recitato,
inseme a un gruppo di altri validissimi
attori, con la regia di Alessandro
D'Alatri e la scenografia di Matteo
Soltanto. La prima cosa che mi sono
chiesta è come avessero fatto a imparare
quegli improbabili nomi russi che sembrano
dei veri scioglilingua, poi ho pensato a
Melville, che quel racconto di Gogol' del
1842 doveva averlo letto e amato, se, nel
1853 riprenderà la figura del copista nel
suo "Bartebly Lo scrivano". Poi mi sono
lasciata andare all'atmosfera, alle nebbie
pietroburghesi, agli orizzonti bluastri,
al grigio ferro degli oggetti
scenografici, che mi ricordavano le
medaglie delle olimpiadi di Mosca anno
1980 (che ancora possiedo), e all'odore
forte della vodka (che anche se le
bottiglie di scena erano presumibilmente
piene d'acqua, arrivavano zaffate
alcoliche fino alle balconate)... Uno
spettacolo sobrio, nonostante i fiumi di
vodka, essenziale come un mobile di Le
Corbusier, e di un'attualità senza tempo
(lo so, è un ossimoro) dove il tragicomico
si espia nel grido finale, rauco e
sussultante, di Akakij, in quel dolore di
ometto-bambino a cui è stata rubata la
cosa più importante, un cappotto nuovo,
sudato, ambito, desiderato, inconcesso e
poi finalmente posseduto (e se ci resta un
extra, dopo il cappotto, c'è una
bottiglietta d'inchiostro rosso da
comprare e allora la felicità sarà
completa). Ma il ballerino goffamente
aggraziato, l'umile operaio della bella
copia, colui che basta poco per farlo
contento (un collo di gatto di Parigi, un
lettuccio, l'ordinario trantran
dell'ufficio, delle prese in giro dei
colleghi sgamati, del potere superiore dei
superiori) si vede strappar via quella
stoffa che è tutto se stesso, e lì
diventiamo tutti bambini a cui viene
rubato il nostro unico gioco, e in quanto
unico il preferito. Inutile dirvi quanto
sia "vera" l'interpretazione di Akakij che
ne fa Franceschi, e la semplicità poetica,
mai compiaciuta, di una regia distaccata,
e tanto più efficace quanto è più
osservata e non osservante. Regalatevi
questo spettacolo, andate a teatro, sarà
come andare in Russia, e anche come capire
un po' di più quest'Italia.
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Matteo
Soltanto - Il cappotto / The
overcoat - dettaglio della
scenografia / set detail
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IL RESTO
DEL CARLINO, intervista di Claudio
Cumani a Vittorio Franceschi
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LA
STAMPA, recensione di Masolino D'Amico
(10 novembre 2013)
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Matteo
Soltanto - Il cappotto / The
overcoat - dettaglio della
scenografia / set detail
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CORRIERE MERCANTILE, recensione
di Clara Rubbi (giovedì 21 novembre
2013)
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IL
CAPPOTTO - di Claudio
Beghelli
Spettacolo, a un tempo, danzato
sulle punte, dotato di grande ritmo
melanconicamente comico e potentemente
drammatico. Vittorio Franceschi (la cui
interpretazione dell'impiegato - l'augusto
perfetto -, timido buono e schivo,
inadatto alla vita, tutta giocata
sull'essenzialità e sulla sottrazione, sul
più rigoroso minimalismo attorico, è
davvero memorabile. Ci vuole un attore e
scrittore di potente e profonda
sensibilità, pari suo, per realizzare un
protagonista che, pur essendo sempre in
scena, resta defilato e non si mette mai
'al centro', evitando i virtuosismi e la
teatralità esibita o di maniera). Più che
una rilettura di Gogol', l'Autore compie
una audace, completa reinvenzione del
testo (di cui la riuscita regia di
D'Alatri valorizza sapientemente la
coralità), che pur rispettandone l'arco
narrativo, vi aggiunge una delicatezza e
precisione mirabile di scrittura, grande
ricchezza di invenzioni teatrali
(personaggi vagamente cechoviani, come la
padrona di casa o la moglie del sarto, ma
anche clowneschi, come il venditore di
stoffe e Polkan, l'ubriaco; ed echi
onirici sorprendenti quanto inquietanti),
facendone un'opera che è tanto sintesi
dello spirito satirico e grottesco di
Gogol', quanto amara allegoria e metafora
della nostra contemporaneità. Allegoria
non esplicita o verista, ma concreta,
sapientemente filtrata e deformata,
attraverso la visione di una Russia
decadente, crepuscolare, "ladra di giorno
e assassina di notte", destinata al
disfacimento, divorata dalla miseria, dal
freddo infernale, e paralizzata dalla
burocrazia inutile e farraginosa.
Equilibratissima e suggestiva la
scenografia di Matteo Soltanto, che compie
un lavoro di immaginazione - e non di
banale illustrazione - al servizio del
testo. Da ultimo, le musiche del Maestro
Germano Mazzocchetti, aggiungono,
soprattutto nel secondo atto, un elemento
diegetico che sottolinea energicamente
prima la felicità e poi l'angoscia del
personaggio, ponendo in gioco la sua
splendida fisarmonica e mettendola in
contrappunto con una punteggiatura di
pianoforte, che ricorda Shumann e
Rachmaninov. Affiatata tutta la compagnia.
Una menzione particolare meritano i
giovani, tutti bravi e credibili, tra cui
spicca, per versatilità e levità e talento
di caratterista Alessio Genchi. Si esce di
sala pensando: è uno spettacolo, a un
tempo classico e contemporaneo, che
ritraendo la Pietroburgo del tardo
Ottocento, parla di noi, oggi.
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ph.
Raffaella Cavalieri
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L'UNITA', recensione di Maria
Grazia Gregori (29 novembre 2013)
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IL
RISCATTO IMPOSSIBILE DI UN COPISTA
DELLA VITA - di Michela
Zaccaria
Alberi stecchiti su fondale
livido, librerie di scartoffie e registri
come quinte; a sinistra, la stanzetta di
Akàkij; a destra, la bottega del sarto
Petròvic cieco da un occhio; al centro,
l’ufficio del ministero. Qui Akàkij
Akàkievic fa il copista, il più bel lavoro
del mondo perché non occorre pensare,
bisogna solo mettere in bella quello che
hanno scritto gli altri. Akàkij non
reclama nulla; sogna lettere maiuscole
scritte con inchiostro rosso; ama cose già
successe, pronte ad essere copiate. Quando
cammina per via conosce a memoria ogni
buca del percorso, sempre lo stesso da
venticinque anni; sul lavoro mai un
ritardo, dieci ore ogni giorno; dopo cena
ancora un’oretta con penna d’oca e carta
protocollo a copiare elenchi di morti e
denunce anonime. «Il mondo è pieno di
infelicità, ma grazie a Dio e alla mia
calligrafia... io vivo una vita davvero
molto molto molto emozionante!» sospira. I
suoi colleghi al ministero nemmeno lo
salutano; con quel cencio addosso che
sembra una vestaglia, ridono. Braccio
morbido… gomito flesso… ogni volta Akàkij
Akàkievic sguscia via dal suo vecchio
cencio come in un balletto. Non si ricuce
una marcia reliquia, occorre un cappotto
nuovo! - gli fa il sarto. Il mondo sarebbe
un paradiso se si copiassero i cappotti
come si copiano le parole, con tutti i
bottoni ed i colletti! E col misero
stipendio, per fortuna c’è la gratifica…
Ottanta rubli, color marroncino kaki e
collo di gatto di Parigi. Col suo cappotto
nuovo Akàkij Akàkievic non ha più freddo
ed in ufficio sembra guadagnare il
rispetto di quei colleghi che prima lo
infastidivano. Ora nobilita non solo la
sua persona, ma il Ministero tutto e la
Patria stessa, la grande madre Russia!
Applausi, champagne. Ci fosse almeno un
po’ di luna... All’uscita dalla festa un
omone gli tasta il colletto, un altro gli
mette il pugno davanti alla bocca. Un
cappotto così, in mano ai ladri! Akakij
Akakievic è beffato dai colleghi e dal
destino. Torna a casa mentre il vento
s’infila nel colletto e dentro gli
stivali; si stende sul letto, delira. La
vita lo costringe ad una prova e lui ne è
sopraffatto. Fino a morirne. Vittorio
Franceschi affronta da autore il mondo
russo che gli è tanto caro e riscrive con
garbo il capolavoro di Nikolaj Vasil'evic
Gogol', storia del riscatto impossibile di
un «copista della vita» la cui unica
evidente condizione è quella
dell’inesistenza. Colbacchetto
spelacchiato e cappotto sdrucito,
Franceschi disegna un Akakij candido e
stupito fra i sogni ed i naufragi di una
vita anonima, sopraffatto più che dal
freddo inverno dalle convenzioni sociali e
dall’arbitrio di corrotti mezze calzette.
In una società che rottama uomini e cose,
il vecchio cappotto, che «fra toppe e
rammendi era tutta una piaga» come la
casacca di Geppetto, alla fine sventola
come una bandiera - riflette Franceschi.
Il regista Alessandro D’Alatri imprime
levità e ritmo allo spettacolo. La scena è
di Matteo Soltanto, la musica di
ispirazione klezmer di Germano
Mazzocchetti. Accanto al protagonista,
Umberto Bortolani è il sarto burbero e
ubriacone, Marina Pitta la moglie
scostante che mangia aglio ogni giorno per
tenerlo lontano; Alessio Genchi è il
divertente mercante sul carretto carico di
stoffe damascate, Federica Fabiani la
padrona di casa dal cuore tenero, Giuliano
Brunazzi l’ubriaco poeta. Michela Zaccaria -
(www.drammaturgia.it - Dir. Siro
Ferrone)
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ph.
Raffaella Cavalieri
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VITTORIO
FRANCESCHI E ALESSANDRO D’ALATRI
FANNO... CAPPOTTO - di Fabio Raffo
Il
cappotto è uno spettacolo tratto da un
racconto di Gogol’, adattato
meravigliosamente da Vittorio
Franceschi, anche attore protagonista.
La storia ci illustra la vita di un
povero copista che, nello sfondo della
Russia ottocentesca, addattatosi con
facilità alla rigida disciplina del suo
lavoro, sembra trovare una felicità più
vera e una possibilità di ascensione
sociale grazie all’acquisto di un nuovo
cappotto, per poi morire di crepacuore
nel momento in cui esso gli viene
rubato. Una storia realistica dai
contorni grotteschi fantozziani,
potremmo dire, anche se certo viene
prima Gogol’ di Fantozzi. La citazione
del personaggio di Paolo Villaggio non è
così casuale, perché Franceschi nella
sua magistrale interpretazione sembra
per certi versi ispirarsi allo stile
fantozziano, nell’ossequio esagerato ai
suoi superiori, nella difficoltà di
trovare le parole, in un italiano tutto
suo. Ma il personaggio di Akakij e tutto
lo spettacolo in generale, dalla
messinscena alle musiche, alla capacità
interpretativa di tutto il cast che
riesce a restituire una realtà sociale
con vividezza, raggiungono una
commovente intensità poetica, mancante
in Fantozzi, che trova il suo apice
nella poesia finale dell’ubriacone, dopo
la morte di Akakij. Lascia allora un po’
di curiosità l’aggiunta delle due
ulteriori battute finali, come a voler
ritornare un po’ sul sapore di commedia
insito in tutto l’adattamento
drammaturgico e che il finale sembrava
dimenticare nella sua cupezza. Lo
spettacolo dimostra nel complesso una
qualità eccelsa, nel suo ritmo di
tragicommedia, in cui lo spettatore si
affeziona ai personaggi, e in special
modo ad Akakij, con punte di surrealismo
comico davvero geniali. La comicità
sembra esagerata e un po’ sbavata solo
nel personaggio macchiettistico del
venditore di tessuti, ma si tratta solo
di un dettaglio. Per il resto la
messinscena ha la capacità di conciliare
l’attenta e minuziosa aderenza a una
precisa realtà sociale – anche nei
costumi e nella scenografia minimalista,
che evoca le catapecchie russe e il
freddo coi tre alberi scheletrici dello
sfondo - a un surrealismo notturno
veramente evocativo, nell’atmosfera
soffocante del ministero dove lavora
Akakij, la cui alienazione è resa
emblematica nel balletto dei suoi
colleghi che lo circondano con le
fruste. In sintesi, uno spettacolo
magistrale, con un testo forte che il
minuzioso lavoro di Franceschi
restituisce nella sua classicità, ancora
valida ai nostri giorni. Secondo
Calvino, un classico è un libro che non
finisce mai di dire qualcosa di
veramente necessario al suo lettore:
ecco, la stessa massima può essere
applicata a questo spettacolo. Fabio
Raffo (vocidallasoffitta.blogspot.it)
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IL
CAPPOTTO - recensione di
Massimo Lechi (www.cinemaeteatro.com),
23 novembre 2013
Capolavoro
riconosciuto della letteratura russa, Il
cappotto è una delle opere più celebri
di Nikolaj Vasil'evic Gogol' (1809 -
1852). Al centro di questo dolentissimo
racconto pubblicato nel 1842, vi è la
storia di Akakij Akakievic Bašmakin,
umile copista costretto a sopravvivere
nel gelo pietroburghese con il povero
stipendio ministeriale, tra i lazzi dei
colleghi d’ufficio e altre innumerevoli
miserie quotidiane. Vittorio Franceschi,
teatrante d’esperienza, ha ripreso il
personaggio nella doppia veste di attore
e drammaturgo, seguendone tutte le
tragicomiche tappe verso l’amaro finale:
l’acquisto di uno sgargiante cappotto di
cammello (esagerato rispetto alla sua
condizione di burocrate di infima
categoria), la breve gloria scaturita
dall’inedita eleganza, e infine il furto
del cappotto medesimo nella notte
invernale, l’umiliazione e la morte in
solitudine. In questa nuova versione per
la scena, la materia gogoliana è stata
dunque rispettata nell’essenza e nella
struttura, ma opportunamente
teatralizzata grazie soprattutto a
dialoghi scritti ex novo e in grado di
restituire tanto la complessità della
figura del protagonista - grande
archetipo dell’impiegato vessato –
quanto la caleidoscopica e minacciosa
San Pietroburgo zarista che fa da sfondo
alla vicenda. L’adattamento ha poi
trovato in Alessandro D’Alatri un abile
esecutore registico, attento al ritmo
della narrazione e all’equilibrio di un
cast particolarmente ben assortito (da
segnalare l’ottimo Umberto Bortolani nel
ruolo del sarto Petròvic). Su tutto
svetta però il talento dello strepitoso
primattore, artefice principale - sia
con la penna sia con voce e gesti - di
uno spettacolo decisamente coinvolgente,
dalle atmosfere non prive di suggestione
autentica. (http://www.cinemaeteatro.com/index.php/teatro/recensioni/1850-il-cappotto.html)
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ph.
Raffaella Cavalieri
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|
ph.
Raffaella Cavalieri
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