Presenze/assenze
di Alessandro
Sibilia |
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Il
vento è un “..movimento violento
di masse d’aria atmosferiche,
provocato da differenze di
pressione tra punti situati su
una stessa superficie di livello
della gravità”, questa la
definizione del vocabolario. Da
cosa invece nasca questo vento è
difficile dirlo con esattezza.
Un’ipotesi che si può formulare
parte proprio dalla natura
stessa di questo fenomeno,
ovvero da quel movimento
provocato dalle differenze
pressorie. L'evento “Windy” (Lo
Studio, Milano 1999), è una
sorta di spostamento che dalla
superficie bidimensionale porta
a quella tridimensionale; la
volontà di coinvolgere lo spazio
con un’idea. In questo
avvicinamento alla terza
dimensione non è inoltre da
sottovalutare la pratica che
l’artista intrattiene con il
mondo del teatro ed in
particolare con la scenografia e
le sue esigenze di
rappresentazione spaziale della
forma. A questo va poi aggiunta
l’inesausta volontà
sperimentatrice che, prima
attraverso i processi alchemici
sui ritratti, poi di simulazione
sulle sospensioni, mette
fortemente l’accento
sull’aspetto tecnico della
realizzazione. In Windy è da
sottolineare più l’aspetto di
continuità e sperimentazione
insito nell’operazione piuttosto
che l’esibizione di un risultato
raggiunto. Lo scopo è in fin dei
conti quello di rendere visibile
la massima evanescenza ed
immaterialità della natura, il
vento. Captato, aspettato ed
infine imbrigliato nel suo
‘doppio tridimensionale’, ‘come
gettare un mantello sull’uomo
invisibile’, come nota lo stesso
Matteo. Un lavoro giocato sulla
presenza/assenza della forma e
della sua esistenza nello
spazio. Vorrei infatti leggere
questa mostra come il segno di
un’idea che cresce e che si
confronta con nuove occasioni e
mutate esigenze; l’ulteriore
prova della volontà
sperimentatrice dell’artista, a
confronto questa volta non con
uno spazio canonico, il cubo
bianco della galleria d’arte,
bensì con uno spazio commerciale
ed un pubblico presumibilmente
lontano da quello che
normalmente frequenta l’arte
contemporanea. E’ quindi così
che dal ritratto che dissimula
la rassomiglianza al modello
nella tessitura della trama,
alla forma che come bagliore
notturno emerge dal buio ed in
esso si perde, fino appunto
all’impercettibile presenza
dell’aria resa visibile dalla
fitta ragnatela tessuta per
conservarne nel tempo e nello
spazio la sua testimonianza, si
realizza quel movimento
provocato dalle differenze di
pressione, ovvero delle mutate
condizioni di committenza e di
realizzazione. |
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Presences/absences
by Alessandro
Sibilia |
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The
dictionary offers the following
definition of the wind: “a
movement of atmospheric air
masses caused by differences in
pressure between points situated
on the same surface of gravity
level”. What the wind actually
springs from is rather more
difficult to describe. One might
formulate a hypothesis stemming
directly from the nature of the
wind itself, or even from the
turbulence instigated by
alterations in pressure. And now
we arrive at the moment of
“performance” in Milan (Lo
Studio, 1999) where, it is
important to emphasize the
aspect of continuity and
experimentation inherent in the
operation, rather than a mere
exhibition of an achieved
result. In the final analysis
the artist’s objective is that
of manifesting nature’s greatest
force of evanescence and
immateriality, the wind, sensed,
anticipated, and finally bridled
in its three dimensional double,
it was, as the artists himself
describes, “like throwing a
cloak over the invisible man. “A
work that unfolds its dynamics
though the presence/absence of
form and its existence in space.
I would prefer to read this
exhibition as the manifestation
of an idea that will grow and
gauge itself with fresh
occasions and changed needs;
further proof of the artist’s
experimental spirit that
measures itself this time not
with the canon of the art
gallery’s white cube, but rather
with a commercial space and a
public presumably remote from
those who normally follow
contemporary art. And thus from
the portrait that transcribes
the resemblance to the model
into the weave of the fabric, to
the form as a nocturnal ray that
emerges from the darkness in
which it dissolves, to the
imperceptible presence of the
air sketched by the dense cobweb
woven to preserve its
configuration in time and space,
it is possible to reproduce that
movement caused by differences
in pressure, or rather, by
altered conditions of commission
and realisation. |